La poesia di Emily Dickinson ci insegna che la poesia, anche dalla periferia e dalla solitudine, deve andare verso il centro del mondo

Virginia Woolf diceva che, per diventare una scrittrice, una donna avrebbe dovuto avere una stanza tutta per sé. Emily Dickinson (1830-1886) questa stanza tutta per sé l’ebbe e vi si confinò, fin quasi a imprigionarvisi. Visse nella sua casa – la casa paterna – a Amherest, in Massachussetts (puoi visitarla, anche virtualmente: https://lnkd.in/d86GmJAq). Ne uscì di rado, una volta per andare a Washington, altre per trascorrere qualche giorno a Filadelfia o a Boston o a Cambridge.

I suoi studi erano stati irregolari. Aveva frequentato, prima, l’Accademia di Amherest, quindi il seminario femminile di Mount Holyoke. Uscita da questo, le sue amicizie finirono con il rarefarsi, ma con i suoi amici o “tutori” o “maestri”, come li chiamava, Emily Dickinson mantenne sempre una fitta corrispondenza. Le sue numerosissime lettere, talvolta epigrammatiche, tessute in forme mai scontate, che prendono a prestito dalla lettura della Bibbia, di Shakespeare, Keats, Browning, Emerson, Elizabeth Barret, Emily Brontë e che lasciano riaffiorare una intensa, ininterrotta meditazione interiore, sono l’elemento liquido in cui Emily si muove a proprio piacimento.

Qualche volta, tra le pagine di una lettera, mette anche una poesia.
Soltanto sette sue poesie furono pubblicate, mentre Emily era in vita. Tutte le altre le trovarono tra le sue cose, nella camera che Emily aveva abitato per tanti anni, sola, cucite in quaderni che lei stessa fabbricava: millesettecentoottantanove in tutto.

Le sue poesie coincidono spesso con rapidi pensieri – pensieri che denunciano uno scavo interiore, illuminazioni, piene di dubbio sempre. La natura è fonte di permanente osservazione. Vi sono, nella natura, piccoli e spontanei miracoli. Guardandola, Emily si interroga, si confronta. Scrive: «Gli incantevoli fiori mi imbarazzano, /Mi fanno rammaricare di non essere un’ape».

Alcune poesie hanno un sapore antico, da lirica greca; altre cominciano luminose, estatiche, e si chiudono intrise di amarezza. Emily Dickinson medita spesso sulla vita, non stacca il pensiero dalla morte, si chiede costantemente di Dio, annota ogni parte di se stessa, ogni fase del suo immobile tempo, del suo insaziato desiderio di fede e tutto l’ingombrante bagaglio delle sue incertezze: «Percorse nel sonno quell’indolente via /Verso la locanda del dubbio -/Per cominciare all’alba la sua corsa /O restare per sempre -».

Ma il suo tempo, solitario ed escluso, aspira a farsi il tempo degli altri, del destino terreno dell’umanità. Emily è sola, ma continua a pensare alla vita di tutti.

In fondo anche Leopardi aveva fatto così, immaginando l’infinito, stando celato e basso dietro la sua siepe [stefano termanini]

Leggi i nostri più recenti libri di poesie:
– Rita Parodi Pizzorno, Le Antiche Mura ([open access] https://bit.ly/3F92TaB )
– Paolo Castagnola, Tra le parole e il sale (https://bit.ly/3yRb0b0)
– Antonietta Bocciardo, Or si frange l’onda (https://lnkd.in/d76Tfw2t)