“Esplorando i sentieri del benessere”, a Casale Monferrato

Nicole Freddi, garante per i disabili del Comune di Casale Monferrato, ha organizzato la prima “Giornata del Benessere”

Lo scorso 15 maggio, presso i locali del complesso del ristorante La Torre, in via Candiani d’Olivola a Casale Monferrato, si è tenuta la prima edizione delle “giornate del benessere”, a cura di Nicole Freddi, esperta di aromaterapia e garante per i disabili del Comune di Casale Monferrato. «Esplorando i sentieri del benessere» è il titolo che Nicole Freddi ha scelto per questa prima “giornata”, che ha visto succedersi interventi di Paola Fongi, floriterapeuta, Alessandra Crova, farmacista, esperta in fitoterapia e floriterapeuta, Marina Cabella, reikimaster, Maria Cicconetti, pranoteraputa, autrice con Gino A. Torchio, medico e scrittore, di Mani che curano. La pranoterapia nella mia vita (Stefano Termanini Editore).

«Era normale per gli antichi – ha detto Paola Fongi – cercare nella natura la cura delle malattie. La naturopatia è, perciò, disciplina originaria e molto antica, che entra nell’ombra quando la scienza diventa il solo strumento di interpretazione dell’universo e del mondo. È soltanto nel Novecento che si riscopre l’energia come il fluido che dà forma all’universo. Il rapporto tra noi e le cose viene, di conseguenza, rivisto. Noi siamo una rete di relazioni con scambio di energia. Se ci pensiamo dentro un sistema così fatto, cambiano la nostra posizione e la nostra responsabilità nei confronti del cosmo: ritroviamo l’idea della natura che cura». Paola Fongi è esperta di fiori di Bach, che – spiega – sono «mediatori di un’energia». L’energia ha un’efficacia nel contribuire al benessere degli esseri viventi quando sia canalizzata con intenzione. «Occorre essere consapevoli e responsabili: di ciò che si fa e di ciò che si riceve», aggiunge. Noi non siamo un insieme di “pezzi”: la persona va curata nel suo insieme. Fa un esempio: «Non possiamo pensare che un male al gomito sia soltanto un male al gomito». Ogni “disagio” produce un “disturbo”; ogni disturbo va compreso in quanto effetto di un disagio, sul quale intervenire con la cura.

Alessandra Crova, oltre a essere farmacista, è consulente in Fiori di Bach secondo il metodo tradizionale. Comincia il suo intervento presentando la figura di Edward Bach (1886-1936). Bach disse che «la salute è essere in armonia con la propria anima e che ogni squilibrio è potenziale causa di malattia». D’altra parte, «non tutte le persone sviluppano una malattia benché esposte allo stesso patogeno». Da quando, nel 1936, fu dimostrato che gli agenti stressogeni contribuiscono all’atrofia del timo e, dunque, al crollo del sistema immunitario (Alessandra Crova cita l’endocrinologo Hans Selye), l’intuizione del dottor Bach, secondo cui «salute è un’armoniosa unione di corpo, mente e anima» ha la sua base scientifica. I Fiori che prendono il suo nome sono «38: 37 dei quali sono tinture madri e uno è acqua di fonte». Devono essere assunti consapevolmente – spiega – nel senso che occorre capire la logica che sottendono e che è integrale: si vuole «prendere in considerazione la persona nel suo intero». Peraltro, i Fiori di Bach sono «compatibili con ogni forma di trattamento, vanno bene a ogni età, non hanno effetti collaterali». L’idea è «agire sugli stati energetici» e stimolare «il potenziale di autoguarigione» del soggetto in cura.  Diceva Bach di considerare «privilegio e dovere di ogni medico imparare a guarire sé stesso» e che la guarigione deve venire «da dentro noi stessi». Alessandra Crova conclude facendo ricorso a un’immagine: «I Fiori sono come un’onda sonora. Bisogna dosarli opportunamente. Se mescolo troppi suoni insieme, non sento armonia, ma rumore. Lo stesso con i Fiori: se sono troppi, non si produce l’effetto desiderato». Occorre, dunque, procedere con metodo, assumendoli più volte al giorno, di modo che si manifestino nel paziente e il terapeuta capisca ciò di cui il soggetto in cura ha bisogno per produrre in lui o lei gli effetti di guarigione.

«Reiki» vuol dire energia. Marina Cabella, matematica, è reikimaster. «Noi siamo energia – spiega – il nostro campo magnetico è immerso nell’energia universale. Il Reiki mette in collegamento l’energia universale con l’energia del nostro corpo vitale». Ricorda come ha conosciuto il reiki: «per caso – dice – durante una gita. Un’amica lo praticava, mi ha detto di fidarmi. Mi sono fidata». Il Reiki ha radici molto antiche e richiede un percorso di autoconsapevolezza, suddiviso in tre gradi o livelli. Fu Mikao Usui (1865-1926) a riscoprirlo, traendo ispirazione da testi dell’antico Giappone e da lunghe meditazioni e prove. Da Usui, primo maestro di Reiki, sorse la scuola di Reiki. «Nel Reiki, l’operatore – spiega Marina Cabella – si connette con l’energia di guarigione e la canalizza sul soggetto da trattare, riequilibrandolo. È sua la responsabilità di essere un canale pulito di energia, ampio, dotato di buone intenzioni. Il paziente deve affidarsi. Se c’è, da una parte, purezza di intenzioni e dall’altra affidamento, il metodo funziona». Questa energia è disponibile, è abbondante, nell’universo ce n’è per tutti. Il paziente può imparare a servirsene; a – dice – «attivarla». Un reikimaster, per converso, ha appreso ad agire «sul piano spirituale»; conosce e opera sui «livelli più sottili». È in grado di «attivare altri».

Maria Cicconetti e Gino A. Torchio hanno raccontato il percorso che li ha condotti a collaborare alla scrittura del libro Mani che curano. La pranoterapia nella mia vita (Serel | Stefano Termanini Editore). «Debbo confessarvi che ero scettico» dice Gino A. Torchio. «In quanto medico di medicina generale mi sono sempre occupato della salute degli organi. E benché credessi che ci sono cose che non si vedono e che sono, ciò nonostante, molto importanti e influenti, non credevo che la pranoterapia avesse efficacia. Oggi abbiamo parlato di energia. L’energia è dovunque. Il cosmo contiene una grande quantità di energia che noi non vediamo e che non riusciamo, almeno non ancora, a misurare strumentalmente. Sappiamo, però, che c’è. Avvicinandomi alla pranoterapia, seguendo Maria nel suo lavoro per circa due anni, mi sono convinto, e ora sono convinto, che bisogna non essere scettici dinanzi alle cose che non vediamo soltanto perché non le vediamo». Racconta delle volte in cui i pazienti tornavano al suo ambulatorio medico e gli riferivano di essere stati dal pranoterapeuta e di averne tratto benefici. Avevano, così riferivano, meno dolore. «Un po’ e sulle prime mi dava fastidio – rivela, sorridendo di quella sua passata gelosia – ma, come anche la scienza prescrive: quando tutti riferiscono di un fenomeno come funzionante, non si può fare a meno di prestargli attenzione».

Le mani di Maria Cicconetti, durante il trattamento pranoterapeutico, si scaldano. «Maria lo chiama ‘dono’ – commenta Gino A. Torchio – ma forse dono non è, perché l’energia c’è ed è attorno a noi. La pranoterapia è terapia non invasiva, intesa a recuperare il benessere del paziente. E non è poco! D’altra parte, che Maria, attraverso le sue mani, produca un beneficio nel paziente io l’ho visto accadere molte volte. È verificabile. La medicina ‘tradizionale’ sta facendo grandi passi di avvicinamento in direzione della medicina complementare. Ci sono medici, per esempio ortopedici, che prescrivono ai propri pazienti trattamenti pranoterapeutici e il pranoterapeuta, in casi sempre meno singolari, entra a far parte di un team di cura. Oggi consideriamo questa disciplina una cosa a cui ‘credere’ o ‘non credere’. Un giorno arriveremo a misurare scientificamente ciò di cui abbiamo una conoscenza empirica».

Aggiunge Maria Cicconetti: «Impongo le mani sul paziente, si scaldano. Lo faccio senza preparazione, come si è raccontato nel libro. È un dono». E ricorda, poi, come sul “dono” ci abbia a lungo lavorato: prima imparando a dominarlo, sotto la guida di un frate cappuccino (è il padre Nino de La foto che non c’è), quindi studiando. «Da quindici anni collaboro con un medico ortopedico. So quanto il mio ruolo niente possa togliere al ruolo della medicina scientifica e tradizionale, ma so anche che possiamo lavorare insieme, con molta utilità e profitto per il paziente».

Prima delle domande libere e degli interventi del pubblico, a conclusione della “giornata”, è intervenuto Stefano Termanini: «ho notato – ha detto – che un tratto comune a tutti gli interventi sia stato l’equilibrio tra l’esperienza diretta, empirica, a cui dover credere e la volontà, la necessità, a un certo punto, di trovare basi oggettive e scientifiche a giustificazione del proprio lavoro e degli effetti che se ne ottengono. Nella medicina complementare, a quanto oggi ho appreso, si cerca una dimensione complessiva dell’essere umano, una connessione tra il pensiero (o lo spirito, se si vuole) e il corpo, tra il sentire e lo stare. L’energia è, mi pare, la connessione che in tutti gli interventi è stata riconosciuta come a fondamento della conservazione della salute e del benessere, obiettivo che mi pare più di ogni altro al centro del bersaglio. La vera sfida». Riferisce un aneddoto: «È forse una leggenda, ma pare che il nome commerciale di Aspirina derivi da Sant’Aspreno, primo vescovo di Napoli, che tradizionalmente si invocava per guarire dal mal di testa (1). Se così fosse e anche qui, anche in questa leggenda o aneddoto che sia, il benessere del corpo e lo spirito sarebbero fra loro legati». «Sono contento della giornata, splendidamente organizzata da Nicole Freddi, che ringrazio», ha infine concluso. «Vorremmo ripetere questa giornata, anzi farla diventare un appuntamento non estemporaneo e occasionale, ma da mettere in calendario, abituale, ripetuto. Vorremmo ampliare l’esperimento che oggi abbiamo fatto insieme e trasformarlo, se ci riusciremo, un un festival del benessere. O meglio, come lo abbiamo chiamato, perché l’accezione del benessere sia la più vasta possibile: del ‘bene-stare’». [s.t. 26.5.2022]

(1) Se ne parla nel recente libro di Pietro Pistolese, In volo su Versailles. La Conferenza di pace, un’eredità di conflitti, Stefano Termanini Editore, 2022.