Le prime teorie delle maree – Early Theories on Tides, a cura di Giuseppe Manzella, Federico De Strobel, Antonio Novellino (ISBN 9788895472638)

20,00  Iva inclusa

Il libro percorre la storia delle teorie sulle maree scegliendo, tra queste, quelle significative o curiose, solamente accennate nella letteratura scientifica o addirittura mai menzionate.

Questa storia mostra come l’interpretazione di fenomeni naturali non abbia seguito un cammino lineare, ma vi siano stati passi in avanti e “riflussi” legati anche alle stagioni storiche in cui operavano filosofi e scienziati.

Il libro fornisce un esempio di come le informazioni che in tempi passati circolavano nei ristretti circoli dei dotti vengano oggi offerte a ogni persona interessata o anche solamente curiosa, supportando la costruzione di quella che viene definita «società della conoscenza».

 

The book covers the history of theories on tides, choosing among them some significant or curious ones, only hinted at in the scientific literature or even never mentioned.

This history shows how the interpretation of natural phenomena has not followed a linear path, but there have been steps forward and “refluxes” linked also to the historical seasons in which philosophers and scientists operated.

The book provides an example of how information that in past times circulated in the narrow circles of scholars is now offered to every interested or even just curious person, supporting the construction of what is called the «knowledge society».

Descrizione

Sono note le pagine della quarta giornata del Dialogo intorno ai due massimi sistemi del mondo, in cui Galileo Galilei fa discutere delle maree i suoi protagonisti: Simplicio, Sagredo, Salviati. Secondo la teoria esposta nel celebre libro di Galileo, la Terra sarebbe come un vaso in movimento, all’interno del quale, per via della rotazione, una massa liquida aderisce alle pareti. In modo simile alla acqua dentro un vaso, cioè, con la rotazione terrestre l’acqua di mari e oceani, a causa dell’inerzia, si alzerebbe e abbasserebbe, dando luogo alle maree.

Galileo, straordinario scopritore di fenomeni, in merito alle maree non giunse dunque al bersaglio: la spiegazione che tentò pareva interessante, coerente con le teorie del moto spiegate del Discorso, ma non era corretta.

Le maree, com’è noto, non si devono al movimento terrestre e all’inerzia, bensì alla Luna.

Più brillante di Galileo fu, riguardo alla soluzione del problema delle maree, Apollonio Menabene, archiatra del re di Svezia Giovanni III Vasa. Menabene, medico milanese della cui vita non si sa quasi niente, ci ha lasciato un trattato in latino sul fenomeno delle maree, il Libellus de causis fluxus et refluxus aquarum Stocolmiensium (1581), che nel libro viene ripubblicato in anastatica, quindi in traduzione italiana e inglese.

In quest’opera Apollonio Menabene dichiara di aver osservato il fenomeno delle maree in Svezia e di averlo confrontato con lo stesso fenomeno, così come gli era noto dalla sua esperienza italiana. Il Mar Baltico è assai diverso, a riguardo, dal Mar Mediterraneo. Il fenomeno delle maree, nel Baltico, è assai più pronunciato. Gli svedesi, assistendo al fenomeno delle maree, scrive Menabene, non si fanno domande, non lo indagano, non cercano risposte. Credono che sia un prodigio di cui la Natura e Dio hanno beneficato la loro terra. E, invece, dice Menabene da vero interprete dello spirito nuovo dei suoi tempi, è dovere dello scienziato e dell’uomo colto cercare in ogni campo la spiegazione esatta di ciascun fenomeno.

Rileggere il Libellus è intrattenimento colto e lieve, che la riedizione anastatica dello stesso, accompagnata dalla traduzione in italiano e inglese, a cura di Giuseppe Manzella, Federico De Strobel e Antonio Novellino, rende accessibile a ogni pubblico di lettori.

Ma non sarebbe giusto intraprendere questa lettura, che pure deve essere consapevole dell’ambiente culturale in cui l’uscita del Libellus si pone, senza conoscere quanto si stava pensando e discutendo e facendo attorno a Menabene. Ecco, dunque, l’introduzione al libro.

Dove, cominciando con le teorie dei filosofi greci, Aristotele, Parmenide, Archimede (il quale, fra l’altro, intuì che le maree potevano essere dovute all’influenza di Sole e Luna sull’acqua del mare), si illustrano le teorie sviluppate dai classici, Cicerone, Strabone e Plinio, fino a tempi più recenti: Jacopo Dondi, fra l’altro amico di Petrarca e costruttore di un celebre orologio, quindi Keplero, Galileo, Kant. Ma l’introduzione dà conto anche di alcune teorie di secondo piano, meno note, le quali richiesero tuttavia sforzi ingenti di osservazione ed elaborazione ai loro autori: tra queste la curiosa teoria del filosofo del XVII secolo, Domenico Panarolo, che correlò il verificarsi delle maree con il movimento delle balene, animali, questi ultimi, certo forti e corpacciuti, ma non davvero in grado di suscitare un fenomeno delle proporzioni note, come egli credeva e come cercò di dimostrare. Va detto che, probabilmente, era più facile, per uno scienziato del tempo, pensare a una causa interna all’orbe terraqueo che a una causa “celeste” o esterna: l’esempio di Panarolo, illustrato e commentato nel libro di Manzella, De Strobel e Novellino, ci dice anche di questo.

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