Al Quadrivium, la presentazione del nuovo libro di Donatella Mascia: “L’urlo nella notte”

Giovedì 23 marzo 2023, alle ore 18, presso il Quadrivium di Santa Marta (piazza di Santa Marta 2 – Genova), verrà presentato il libro di Donatella Mascia “L’urlo nella notte”, Stefano Termanini Editore, 2023, pp. 216.

Interverranno, con l’autrice, Matteo Campora, assessore Comune di Genova, Tiziana Lazzari, presidente IV Commissione cultura e sviluppo del territorio del Comune di Genova, Roberto Trovato, professore Università di Genova, Stefano Termanini, editore.

Con il suo “L’urlo nella notte”, Donatella Mascia «aggiunge un ingrediente al genere poliziesco finora da lei prediletto – scrive Carlo Prosperi, autore della prefazione del libro – perché accanto alle consuete dosi di umorismo e di mistero, di azione e di investigazione» in questo suo nuovo romanzo «troviamo sostanziosi elementi di spy fiction, con traffici d’armi, intrighi internazionali e gruppi terroristici fra loro in competizione». Una storia ricca di colpi di scena, commenta Carlo Prosperi, «di suspense, di fughe e di inseguimenti, alla stregua di quanto in questi ultimi decenni ci ha proposto la cinematografia d’azione. Con rapidi cambi di location e un alternarsi talora frenetico di personaggi e di vicende. Tutto all’interno di un triangolo geografico che si estende tra Genova, Ginevra e Milano».

«La scrittura fresca, sorprendente, scattante di Donatella Mascia – dice Stefano Termanini, editore – trova, in questo suo più recente libro, piena conferma. “L’urlo nella notte” è senza dubbio romanzo di intreccio. Ma nell’intreccio si muovono personaggi vivi e vivissimi. I loro caratteri sono puntualmente e coerentemente descritti e talvolta girati in parodia. Il lettore li segue, parteggia per loro, spesso ne sorride. Sta qui una gran parte della forza della scrittura di Donatella Mascia: i “cattivi” sono più spesso goffi che cattivi, i “brillanti” e gli uomini di successo incespicano e finiscono con il mostrarsi anche loro vincibili. Come già nei suoi libri precedenti, anche in questo nuovo libro, Donatella Mascia si diverte – e con lei il lettore – a forzare l’ordine prevedibile delle cose. In una parola: a sorprenderci».

«Quanto è lontana dal vero la realtà?» si domanda Donatella Mascia. «Ormai, con il dilagare delle informazioni, i confini sono diventati molto labili. La guerra tra Russia e Ucraina alle porte, l’epidemia Covid, che sarebbe parsa quasi una trama da “Topolino e Macchianera” se non fosse stata, invece, una tragica realtà, le spy stories che, eliminato lo stupore iniziale, si trasformano in notizie di cronaca, hanno ormai reso credibile qualsiasi accadimento. Allora mi sono detta: decomponiamola questa realtà magmatica e mischiamola con l’immaginazione! Ne potrebbe venir fuori una trama real-fantastica, fatta per divertire i potenziali lettori. Divertimento, è questo l’intento principale che il romanzo si pone come obiettivo, una volta depurato dalla sofferenza vera, e gettando lo sguardo sulle umane sorti, con complice ironia e con il fondamentale aiuto della fantasia».

«Quali conferme e quali novità ci mette dinanzi – scrive Carlo Sburlati, nella postfazione al libro – Donatella Mascia con questo suo, nuovissimo “L’urlo nella notte”? Degli ingredienti della suspense nessuno manca. Ci sono, anzi, fin dal titolo: l’urlo (e di chi mai?) e la notte (il simbolo per eccellenza delle forze oscure e del mistero). Chi incontriamo per primi sono un uomo e un cane. Tutto inizia con questa scena scompigliata, affannata, cinematografica, con cui Donatella Mascia conferma quel suo interesse per “gli uomini e gli animali” – per gli uomini in relazione e alleanza con gli animali – che abbiamo già visto in altri suoi libri, dal romanzo “Quel gran signore del gatto Aldo” alla raccolta di racconti “Di uomini e di animali”».

Donatella Mascia, ingegnere, professore universitario, si dedica alla professione nei campi dell’ingegneria civile ed infrastrutturale, ponendo la firma su importanti progetti. È collaudatore statico delle opere della Diga di Venezia (il MOSE). Il suo esordio nella scrittura risale a dieci anni fa. Scrittrice e commediografa, ha pubblicato cinque romanzi (“Magnifica Visione”, 2013; “Lo spione di piazza Leopardi”, 2015; “Quel gran signore del gatto Aldo”, 2017; “Una Giulietta rossa”, 2021; “L’urlo nella notte”, 2023) e una raccolta di racconti (“Di uomini e di animali”, 2019). |

E’ esistito un mondo di donne, molto prima di un mondo di uomini

Era tempo fa. Tanto tempo fa. Scriveva Johan Jakob Bachofen (1815-1887), archeologo e antropologo svizzero, nell’introduzione della sua opera più celebre e sconvolgente, “Il Matriarcato”: «Dalle epoche maggiormente conosciute dell’antichità veniamo rimandati a periodi più antichi; da un mondo di pensiero che ci è noto, a un altro interamente diverso e più remoto. […] Un mondo sconosciuto si apre al nostro sguardo».

Lo studio di Bachofen è, in vero, l’ambiziosissima ricerca di un autore straordinariamente sapiente ed erudito, capace di spaziare dalle testimonianze sul «diritto materno» dell’antica Licia all’analisi dei miti e alla corrispondenza con le posizioni dei corpi celesti; dall’idea di “fratellanza” presso gli antichi abitanti di Creta all’influsso sul benessere dello Stato della ginecocrazia (e al suo significato immateriale, svolto in coerenza con il concetto di “madre natura”, che poteva riferirsi, con significati diversi, ora alla terra ora alla luna). In Egitto – Bachofen deduceva e teorizzava – avevano dominato le donne e la figura mitologica di Demetra, la dea delle messi, figlia di Crono e Rea, era stata «base e modello» di un’intera civiltà. Poi qualcosa era accaduto. Alla società femminile, pacifica, armoniosa e gentile, era subentrata la società maschile; ne erano venuti il mito della forza fisica, della violenza e della guerra. Omero, con i suoi eroi che si combattono sotto le mura della città di Troia, con le sue mitologie di guerrieri, di elmi, lance e spade, è – rispetto alla storia che Bachofen si proponeva di far riaffiorare – un moderno.

Tra Omero, Gabriele d’Annunzio, il generale Armando Diaz, Winston Churchill, Thomas Woodrow Wilson e Franklin Delano Roosevelt (tanto per dire) non passa alcuna soluzione di continuità. C’è un abisso, invece, tra Omero e la Mater Matuta, la dea che accoglie il Sole quando nasce, la madre dell’aurora e la protettrice del parto, o le “madri” di Capua, che discendevano dal culto di Leucotea, la dea “che scorre sulla schiuma del mare”, nutrice di Dioniso bambino. Quel che ce n’è giunto, l’immagine trasmessaci dalla statuaria italica ed etrusca – splendida, talvolta, e più misteriosa, come nella figura conservata presso il Museo Archeologico di Firenze – è perlopiù la pallida e tarda sinopia di culti precedenti che onoravano, in Sardegna, la Grande Madre mediterranea, Ashtoreth in Fenicia, Astarte a Malta, Ishtar in Mesopotamia, Atar in Arabia, Hator nell’Antico Egitto.

Grande Dea Madre – Collezione Mainetti, New York e Mater Matuta – statua etrusca rinvenuta presso Chianciano

Franco Cascini nel suo «Viaggio nell’Età dell’Oro», Serel | Stefano Termanini Editore (lo trovi qui: https://bit.ly/3yeLFaF ) riprende questa idea, prima di Bachofen e poi di Marija Gimbutas (ispirandosi, in particolare, a un libro celebre e discusso: The civilization of the Goddess, 1991), secondo cui la preistoria fu delle donne. Era quella l’età dell’oro. Un’epoca felice, di accordo fra esseri umani e natura; l’epoca smemorata, di cui le grotte ornate ci hanno lasciato un’impressione leggiadra e sorpresa. Quasi che la vita fosse allora una danza. Vennero poi, dopo l’oro, tutti gli altri metalli: il rame, il bronzo, il ferro. E furono gli uomini, non le donne, a farne punte e frecce, lame e coltelli.

Leggendo “Volare e Vincere” di Claudio Senzioni e Dino Frambati, Serel | Stefano Termanini Editore

Sui giornali uscì un articolo che faceva riferimento alla Luna. Il titolo era, più o meno, questo: «Dall’Aeroclub di Genova si decolla per la Luna». Ma la Luna (si sa che i titolisti, non di rado, cercano il sensazionalismo) non c’entrava per niente. Franco Malerba aveva da poco raggiunto l’orbita terrestre a bordo dello Space Shuttle (31.7.1992-7.8.1992): era il primo astronauta italiano e tutti a Genova ricordavano che il brevetto di volo Malerba l’aveva conseguito proprio all’ Aeroclub Genova – Scuola Di Volo. L’orbita terrestre, non la Luna, ma ne aveva fatta di strada! Molta, moltissima. E tutto era cominciato di lì – questo andava riconosciuto.

Era il 1994 e l’Aeroclub di Genova stava, a poco a poco, uscendo da quelle che erano parse indistricabili sabbie mobili. Claudio Senzioni – come egli stesso, con Dino Frambati, racconta nel libro «Volare e vincere. L’incredibile storia dell’Aeroclub di Genova», Serel | Stefano Termanini Editore – cominciava a dormire sonni appena più tranquilli. Il Club, che era stato fondato nel 1928 dal coraggiosissimo Giorgio Parodi e che nel 1955 era stato presieduto da Carina Negrone, l’aviatrice straordinaria che Arturo Ferrarin aveva definito «nata da una costola d’Icaro», si preparava a ricevere la visita di S.A.R. Amedeo Di Savoia Aosta , anch’egli pilota appassionato. I tempi bui erano passati; l’Aeroclub stava per tornare alla ribalta dell’attenzione di giornali e giornalisti.

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Quand’ecco l’imprevisto. L’incidente, l’inciampo della sorte. Su un Siai 205 R che vola verso La Spezia ci sono Gianni Carlevaro, 45 anni, e Nino De Milani, 55. Sono due piloti esperti. Ma il motore del Siai, improvvisamente, si spegne: è quella che, in gergo, i piloti chiamano “piantata motore” e c’è poco da fare. A due miglia da Riomaggiore – CinqueTerre i piloti provano a mettere in azione la pompa carburante di emergenza e a pescare dall’altro serbatoio. Il problema non è lì, non si sa dove sia, e l’aereo intanto continua a perdere quota. Carlevaro manovra sulla cloche, riduce la velocità dell’apparecchio a circa 150 km/h. Sono a pelo d’acqua e la coda dell’aereo cala in mare, come fosse un timone. «Sembrava di aver tirato il freno a mano o di aver gettato l’ancora», avrebbe dichiarato, poco dopo l’incidente, Gianni Carlevaro.

Qualche minuto a galla, poi la cabina si riempie e l’aereo si inabissa. I due piloti ne escono e, poiché c’è un pescereccio lì vicino, lo raggiungono a forza di braccia. Se si pensa a come sarebbe potuta finire, sono molto fortunati. Se la cavano con poco: Carlevaro è leggermente ferito alla fronte, De Milani si è fratturato due costole.

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«Ero a Firenze», ricorda Claudio Senzioni nel suo libro, «ma appena ho appreso la notizia, non ho indugiato un attimo. Mi sono precipitato a Genova […]. Le informazioni erano scarse, se non addirittura nulle. Non si riusciva a sapere niente, se non che era precipitato un aereo dei nostri, della nostra flotta, e questo faceva salire e crescere l’apprensione e la preoccupazione da parte di tutti. Soltanto a tarda sera ci arrivarono le notizie tanto attese. Ci telefonarono i piloti, che stavano rientrando a Genova […]. Per non preoccupare le loro famiglie, non avevano fornito i loro nomi veri e la loro identità e per questo non li trovavamo!».

La paura era svanita. I piloti erano salvi e questo solo contava. Commenta Senzioni: «Timori e ansie potevamo ormai lasciarceli alle spalle».

Trovi questa storia e molte altre nel libro di Claudio Senzioni e Dino Frambati, «Volare e Vincere. L’incredibile storia dell’Aeroclub di Genova», con prefazione di Vittorio Sgarbi , Serel | Stefano Termanini Editore, 2022 (è in libreria e qui: https://bit.ly/ClaudioSenzioni_DinoFrambati_VolareVincere )