Alla Feltrinelli di Genova con “Di uomini e di animali” di Donatella Mascia

10 luglio. E’ un mercoledì. Giornata di caldo intenso: fa così, ormai, da qualche settimana a questa parte. Come tutti gli altri – come le persone per la strada, sugli autobus, nelle code alla Posta – ci lamentiamo un po’ anche noi. “Non mi ricordo un caldo così”, dice una signora, mentre aspetta che la presentazione cominci. E’ di quelle che cinque mesi fa dicevano: “Non mi ricordo un freddo così”.

Io, invece, un caldo così lo ricordo. Era il 13 luglio 2018, l’ho ben chiaro. Avevamo presentato Quando la notizia è buona, di Dino Frambati, ed era, come ogni anno a luglio, estate piena.

“Eh, sì, fa caldo. Qui, però, c’è un po’ d’aria condizionata”, mi provo a dire. Voglio partire con il buonumore. Di tutti, possibilmente.

Alla Feltrinelli, nella sala delle presentazioni, con il bel marchio con la F a quaranticinque gradi, bianca, su uno sfondo tutto rosso, tra quadri che ricordano passate presentazioni e varie attività culturali, noi ci prepariamo. Ci sono pile – pilette – del nostro Di uomini e di animali. Le guardo orgoglioso (e forse non sono solo). Due musi che si affrontano: un cane e un gatto. Perché, quando si tratta di parlarci di animali, è di animali domestici che Donatella Mascia ci parla. Di uomini e di animali, però. Facciamo attenzione! Il titolo del libro lo dice: con gli animali ci sono anche gli uomini (e le donne). O viceversa, non so.

Sono contento di questo libro. Mi piacciono, innanzi tutto, le storie che vi sono racchiuse, ma mi piace anche quella copertina un po’ enigmatica, dove gli “uomini” sono citati, ma non rappresentati; il rosso sul fondo bianco-ghiaccio; l’odore della carta, il peso. Amando i libri, “facendo” libri, si vuole essere soddisfatti del proprio lavoro, in ogni sua parte. Per me che il libro lo prendo in mano da editore, la dimensione del carattere da stampa, la sua scelta, l’interlinea, la porosità della carta, il lucore satinato della copertina, il modo in cui vi è stato impresso il titolo e come esso ci parli, nel rapporto con l’immagine; e poi: il peso, il desiderio che vorrei mi nascesse spontaneo, anche se io fossi un altro, di prendere il libro e, soppesandolo, metterlo in tasca per portarmelo via… Sono le prove che faccio. Che ogni volta rifaccio. A ogni nuovo libro che progetto, che “metto insieme”, che stampo, che presento. Anche oggi, alla Feltrinelli, dunque, per provare se le stesse sensazioni di ogni volta tornano e, con quelle, una molecola di compiacimento per quel che si è fatto; per la stradicciuola che, se il libro è qui, fra le nostre mani, abbiamo pure compiuto. Passi e orme e peste che ci siamo messi dietro.

Stefano Termanini saluta. Da sinistra: Alessandro Ferraro, Donatella Mascia, Giulia Amarilli

Veniamo introdotti. Un saluto. Un grazie. E’ una gentile accoglienza quella che ci offrono: grazie alla Feltrinelli, dunque. Ma ancora di più al pubblico, che è venuto fin qui, a sentirci (il pubblico, che ci fa dono della sua attenzione e del suo tempo, non lo dimentico mai: va sempre ringraziato). Un’introduzione, la più breve possibile, per cominciare. Di rompere il ghiaccio non c’è bisogno – chissà, anzi, se ne resterà un po’ almeno al Polo. Via, dunque, rapidi e felici, nel vivo dell’incontro!

Donatella Mascia la conoscono tutti. E’ famosa, in città e non solo. Dico qualche parola su di lei, così come introduco il giovane critico letterario Alessandro Ferraro e l’attrice Giulia Amarilli, fondatrice di Rubik, teatro-scuola e compagnia di improvvisazione teatrale. Siamo in buone mani.

Alessandro Ferraro cita Giorgio Caproni, che è un autore che ama, di cui ha curato l’edizione del Taccuino dello svagato. Si sofferma sulle figure di “marginali” di cui Donatella Mascia racconta: i clochard, i senza-tetto, persone che hanno perso tutto. I vinti. Uomini e donne che si sono ritirati dalla frequentazione degli altri e che vivono in compagnia di animali; che danno da mangiare ai piccioni, perché, nel gran magma dei regni (così si diceva, una volta…) umanovegetoanimali, son sicuri soltanto di quelli: che quelli almeno non li giudicheranno né li eviteranno. Alessandro Ferraro indugia su tre forze, che animano – dice – le pagine di Donatella Mascia: la volontà personale, l’altruismo e il destino. Spiega come traspaia e come, anzi, sia evidente, che la scrittrice a scrivere si diverte: si diverte a immaginare storie fastastiche e “sognate” che solo un confine labile separi dalla realtà. Favole in cui gli animali pensano e dialogano con gli uomini, posti su uno stesso piano di dignità. Racconti dietro ai quali si coglie una griglia di salda architettura narrativa: a partire dalla scelte con cui Donatella Mascia trova, per ciascuno dei suoi personaggi, un nome. Tante volte un nome parlante, come nelle fiabe, molto spesso allitterante, sicché, per esempio, ci sono gruppi e “famiglie” che hanno nomi tutti con una stessa lettera iniziale.

Giulia Amarilli legge Questione di mezz’ora. Poi San Marcellino. E’ lungo e abbiamo previsto tagli, con brevi integrazioni; una specie di dialogo tra pagina e voce off: una cosa che mi pare sia apprezzata e che ci porti felicemente alla conclusione di un racconto che è così bello e vero che ci sarebbe dispiaciuto tralasciarlo a causa del tempo: ritrovare la dignità, vi si dice, ti fa crescere in altezza. Un messaggio netto e forte, con cui si conclude la storia di Rodolfo, il senza-tetto che ritrova una prospettiva di futuro, una speranza, un progetto di vita.

Interpreta benissimo – Giulia – le molte voci di uno dei tre Incipit; quello, teatrale e non facile, che parte dalla suggestione manzoniana “Questo matrimonio non s’ha da fare, né ora né mai”, per evolvere nel burlesco gioco di spartizioni di ministeri tra una tavolata di aspiranti politici, tutti più arrivisti che competenti, tutti più ambiziosi di cariche e ranghi che capaci di ascolto. Di servizio nemmeno si dice.

Donatella Mascia risponde a una domanda del pubblico: come scrive e da dove le viene l’ispirazione?

Finiamo con un bozzetto: La fatica dell’impiegata. La pagina di Donatella Mascia ha questo ritmo che non ti lascia. Rileggendola lo verifichiamo negli occhi di chi è presente e ci ascolta. Ma c’è di più: c’è il personaggio che è vero, ma che è caricaturale. Che esiste, ma che potrebbe far parte di un fumetto. Guarda, per esempio, questa Gianfranca, lavoratrice svogliata da sportello pubblico, temuta per le sue fisime e i suoi arbitrî da un pubblico in lunga e obbediente coda… “è un personaggio vero!”, afferma Donatella Mascia. “La Gianfranca è esistita davvero, l’ho vista con i miei occhi”.

C’è sempre questa radice di vero, nei racconti di Donatella, che poi solleva la persona e la trasforma, letterariamente, secondo i ritmi del teatro qualche volta; che amplifica vizi e virtù, che la ingrossa, la gonfia, ne segna i tratti del viso, calcandoli a matita nera, perché la persona diventi personaggio. Uno di quei personaggi che si muovono liberi e lieti, autonomi, tra le pagine dei libri di Donatella, come lei stessa ci dice nel secondo dei testi della sezione “L’officina della scrittrice”.

Fa sorridere la lettura della Fatica dell’impiegata. Chi ci ha ascoltato, ora ride e applaude. Siamo contenti perché il libro di Donatella e il lavoro che oggi abbiamo fatto, divertendoci tra l’altro, per portarlo al pubblico dei suoi lettori – si direbbe – hanno funzionato. [11.7.2019/stefano.termanini@gmail.com]

 

Riascolta da qui il podcast della presentazione del libro di Donatella Mascia Di uomini e di animali, a cura di Alessandro Ferraro, Giulia Amarilli e Stefano Termanini, con l’intervento dell’autrice. Mercoledì 10 luglio 2019, alla Feltrinelli di Genova: